Effetti sul cervello degli astronauti
dei lunghi viaggi spaziali
GIOVANNI
ROSSI
NOTE E NOTIZIE - Anno XIX – 23 aprile
2022.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie
o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione
“note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati
fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui
argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione
Scientifica della Società.
[Tipologia del testo: RECENSIONE]
I principali Enti Spaziali del mondo hanno fra i
loro progetti una missione umana sul pianeta Marte e la costruzione di una base
sulla Luna. Alla luce delle conoscenze neuroscientifiche attuali, è necessario
approfondire gli studi sugli effetti rilevabili e misurabili dei lunghi viaggi
spaziali sul sistema nervoso centrale di astronauti e cosmonauti, per accertare
l’esistenza di un rischio di danni dovuti alla lunga permanenza in ambienti a
gravità ridotta.
In realtà, il rilievo di segni nelle strutture
encefaliche degli astronauti al ritorno sulla Terra, insieme con la descrizione
di una vera e propria sindrome da prolungato soggiorno spaziale, ha costituito
la ragione principale del differimento nella realizzazione di questi progetti.
Lo studio dell’encefalo mediante risonanza magnetica
nucleare (MRI), prima e dopo imprese spaziali, ha da tempo evidenziato
cambiamenti diffusi nella struttura del cervello e nella distribuzione
del fluido cerebrospinale (CSF) dopo questi viaggi, evidenziando, in
particolare, aumento di volume dei ventricoli cerebrali senza segni di atrofia
del parenchima (ossia un ingrandimento delle cavità non compensativo della
riduzione atrofica), dislocazione del cervello verso l’alto con restrizione
degli spazi subaracnoidei al vertice (VSA) e alterazioni della diffusività dell’acqua.
Questi segni morfologici sono in stretto rapporto con la durata dei voli
spaziali, persistono per vari mesi dopo il ritorno sulla Terra e suggeriscono
un’alterazione dell’omeostasi del CSF dovuta alle imprese.
La rilevanza clinica di queste alterazioni non è
stata ancora stabilita, ma è stata messa in rapporto con la sindrome SANS (spaceflight-associated
neuro-ocular syndrome), un disturbo caratterizzato da cambiamenti
strutturali oculari che riguardano dal 40 al 60% degli astronauti della NASA
sottoposti a missioni di lunga durata nella International Space Station (ISS).
Mentre i cambiamenti oculari sono stati rilevati nei cosmonauti Roscosmos (ROS)
dopo voli spaziali, non vi sono rapporti pubblicati che li caratterizzino mediante
la classificazione SANS prodotta alla NASA.
Giuseppe Barisano, del laboratorio di neuroimmagine
dell’Università della California Meridionale a Los Angeles, con colleghi di
varia provenienza internazionale, ha cercato di stabilire se i voli spaziali
inducono variazioni volumetriche degli spazi perivascolari (PVS), una
rete estesa all’intero cervello di canali che circondano i vasi e lungo i quali
si verificano importanti scambi tra fluido interstiziale (ISF) e CSF. I
ricercatori hanno anche indagato il rapporto tra dilatazione PVS e alterazioni
associate ai voli spaziali in VSA e nei ventricoli laterali (LV), e hanno poi analizzato
la relazione tra queste alterazioni e la SANS.
Infine, poiché l’adozione delle contromisure di
microgravità può influenzare il grado dei cambiamenti associati alla permanenza
nello spazio, i ricercatori hanno esplorato la comparazione delle alterazioni
di questi compartimenti biologici di Americani, Europei e Russi in uno studio
internazionale congiunto di valutazione MRI pre- e post-viaggio spaziale.
I risultati sono di sicuro interesse.
(Barisano
G., et al. The effect of prolonged spaceflight on cerebrospinal
fluid and perivascular spaces of astronauts and cosmonauts. Proceedings of the National Academy of Sciences USA – Epub ahead of print doi: 10.1073/pnas.2120439119, 2022).
La provenienza degli autori è la seguente: Laboratory of Neuro Imaging, University of Southern
California, Los Angeles, CA (USA); Department of Radiology and Radiological
Science, Medical University of South Carolina, Charleston (USA); Laboratory for
Equilibrium Investigations and Aerospace, University of Antwerp (Belgio); Institute
of Biomedical Problems, Russian Academy of Sciences, Moscow (Russia);
Department of Radiology, National Medical Research Treatment and Rehabilitation
Centre of the Ministry of Health of Russia, Moscow (Russia); Coma Science Group,
University of Liège, Liège (Belgio); Imec-Vision Lab, University of Antwerp,
Antwerp (Belgio); Gagarin Cosmonauts Training Center, Star City (Russia);
Institute of Neuroradiology, Ludwig-Maximilians-University Munich, Munich (Germania);
Department of Radiology, Royal Perth Hospital, Perth, WA (Australia).
La permanenza nello spazio
di lungo periodo induce sicuramente cambiamenti osservabili nell’encefalo e nei
compartimenti del liquor o fluido cerebro-spinale (CSF) e comporta alterazione
dell’acuità visiva, in una forma che configura la sindrome neuro-oculare
associata ai voli spaziali (SANS). Lo studio qui recensito ha indagato la
rilevanza clinica di questi cambiamenti e ha sottoposto a verifica l’esistenza
di differenze o di una sostanziale identità della SANS negli equipaggi delle
missioni spaziali dei diversi paesi del mondo.
A questo scopo è stato
impiegato lo studio mediante MRI degli spazi perivascolari PVS del cervello di
astronauti statunitensi della NASA ed europei della European Space Agency, così
come di cosmonauti russi della Roscosmos, dopo un viaggio spaziale di 6 mesi
sulla International Space Station (ISS).
I ricercatori hanno trovato,
dopo la missione spaziale, un accresciuto volume degli spazi perivasali dei
nuclei della base encefalica o basal ganglia PSV e degli spazi perivasali
della sostanza bianca o white matter (WM) PSV. Tale incremento
volumetrico era più marcato nell’equipaggio della NASA che in quello dei
Roscosmos. I due equipaggi, russo e americano, hanno mostrato un simile grado
di espansione volumetrica dei ventricoli laterali (LV) e di riduzione degli
spazi subaracnoidei in corrispondenza del vertice (VSA); tali risultati erano correlati alla
dilatazione WM PSV.
Siccome tutti
gli equipaggi esaminati hanno vissuto nello stesso ambiente a bordo della ISS, le
differenze di espansione degli spazi perivascolari posso essere dovute, fra gli
altri fattori, a differenze nell’uso delle contromisure e nei regimi di
esercizi ad alta resistività che possono influenzare in modo significativo la
redistribuzione del fluido cerebrospinale e degli altri liquidi dell’encefalo.
Un altro aspetto rilevante è che gli astronauti statunitensi della NASA che
hanno sviluppato la sindrome SANS, avevano prima e dopo la permanenza nello
spazio, in regime di ridotta gravità, volumi WM PSV più grandi dei cosmonauti
che non hanno sviluppato la sindrome.
Questi
risultati forniscono evidenze di un rapporto tra il volume dei fluidi degli
spazi perivascolari della sostanza bianca del cervello e lo sviluppo della
SANS.
L’autore della nota ringrazia la dottoressa Isabella Floriani per la correzione della bozza e
invita alla lettura delle
recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE”
del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanni Rossi
BM&L-23 aprile 2022
________________________________________________________________________________
La Società Nazionale di Neuroscienze
BM&L-Italia, affiliata alla International Society of Neuroscience, è registrata
presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze, Ufficio Firenze 1, in data 16
gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come organizzazione scientifica e
culturale non-profit.